Il concetto di benessere organizzativo viene spesso considerato un tema astratto e “distante” dalla quotidianità lavorativa e dalla situazione reale degli ambienti di lavoro, rendendo complessa l’interpretazione degli items necessari a valutare eventuali situazioni di rischio o criticità.
L’emergenza pandemica ha in tal senso palesato tale mancanza, rendendo ancor più necessario l’impegno, da parte delle organizzazioni, nel “creare delle relazioni positive, virtuose e fruttuose tra tutti i soggetti dell’organizzazione stessa” (Prof. Paolo Pascucci).

Esistono diversi scenari che concretizzano la necessità di considerare un’organizzazione non solo come una realtà che produce beni e/o servizi ma anche effetti sui lavoratori, ampliando il concetto di salute ad uno stato di benessere fisico, psicologico e sociale fortemente influenzato dal contesto lavorativo generale e dallo stato di salute dell’organizzazione di appartenenza.
Il benessere organizzativo trova definizione in un “insieme dei nuclei culturali dei processi e delle pratiche organizzative che animano la dinamica della convivenza nei contesti di lavoro promuovendo, mantenendo e migliorando la qualità della vita e il grado di benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità di lavoratori” (Avallone 2003).

Secondo il modello sviluppato dal prof. Avallone esistono delle variabili critiche in grado di determinare il benessere organizzativo anche attraverso la valutazione dello stato di benessere/malessere dei lavoratori.

Da questo modello è possibile estrapolare alcune dimensioni del benessere organizzativo quali:
• comfort dell’ambiente;
• chiarezza degli obiettivi e coerenza tra enunciati e pratiche;
• riconoscimento, valorizzazione e stimolo delle competenze;
• ascolto dei dipendenti;
• circolazione informazioni;
• prevenzione infortuni e rischi professionali;
• ambiente relazionale franco e collaborativo;
• scorrevolezza operativa, rapidità di decisione, azione verso gli obiettivi;
• giustizia organizzativa (equità);
• senso di utilità sociale e del lavoro;
• apertura all’ambiente esterno e all’innovazione culturale e tecnologica;
• livelli accettabili di stress;
• gestione della conflittualità.

Alcuni esempi di indicatori di benessere sono: “soddisfazione per l’organizzazione; voglia di impegnarsi; sensazione di far parte di un team; voglia di andare al lavoro; elevato coinvolgimento; speranza di poter cambiare le condizioni negative attuali; percezione di successo dell’organizzazione; percezione di equilibrio tra vita lavorativa e vita privata; soddisfazione per relazioni interpersonali sul lavoro; apprezzamento per i valori espressi dall’organizzazione; fiducia e stima nel management”.

Mentre gli indicatori di malessere possono essere: “insofferenza nell’andare al lavoro; assenteismo; disinteresse per il lavoro; desiderio di cambiare il lavoro; alto livello di pettegolezzo; risentimento verso l’organizzazione; aggressività inabituale e nervosismo; disturbi psicosomatici; sentimento di inutilità; sentimento di irrilevanza; senso di disconoscimento (non apprezzamento); lentezza nella performance; confusione organizzativa in termini di ruoli, compiti, ecc.; venire meno della propositività a livello cognitivo; aderenza formale alle regole e anaffettività lavorativa”.

In conclusione il benessere organizzativo contempla un nuovo approccio alla tutela della salute dei luoghi di lavoro:
• “dalla tutela della salute del singolo alla tutela della salute della comunità lavorativa considerata nel suo complesso e come espressione del funzionamento generale dell’organizzazione;
• il focus è sulle caratteristiche dinamiche dell’organizzazione che possono e dovrebbero garantire il benessere dei lavoratori che ne fanno parte;
• il focus è sulla promozione della salute intesa come stato di benessere anziché sulla prevenzione dei rischi (soprattutto psicosociali), quantunque il perseguimento del benessere organizzativo è funzionale anche alla prevenzione”.